Quando si parla di Mazzone si parla della rinascita del Cagliari degli anni Novanta, passato dal rischio di finire in C2 se non di fallire, al ritorno in A in due stagioni, alla qualificazione in Coppa UEFA alla semifinale nella competizione. Tre i condottieri: Ranieri, Mazzone e Giorgi, gente d’altri tempi, uomini portatori di valori oggi fondamentalmente messi da parte ma ancora determinanti, come dimostra l’avventura dei rossoblù e di sir Claudio nell’ultimo campionato di B. Ma pure la piega che Ranieri sta dando al campionato del Cagliari tornato in A, dal punto di vista dell’approccio “socio-culturale” – «Io guido la Nazionale dei Quattro Mori», ha detto ieri – all’impegno che la squadra deve mettere in campo, soprattutto nelle prime partite.
Tornando al sor Carletto, per dire della stima di cui ha goduto nel mondo del calcio e nell’ambiente tecnico, niente di meglio delle parole che per lui ha speso nel tempo Guardiola, che giocò nel suo Brescia ai primi del nuovo millennio, proveniente dal Barça. Un’esperienza che il rivoluzionario tecnico blau-grana oggi al City, passando per il Bayern, ha sempre detto essere formante per il suo futuro in panchina.
UN PADRE. «Mazzone è stato come un padre per me. Ricordo ancora il mio primo giorno al Brescia, arrivavo da ex capitano del Barcellona con un sacco di aspettative… Mazzone mi si avvicina e mi dice: «Io non ti volevo, non so che ci fai qua”. Rimasi sorpreso. Alla fine però mi disse: “Ti voglio bene e ti farò giocare”. E fu così… Mazzone mi è stato veramente vicino, soprattutto nei momenti difficili. Mi ha trattato come un figlio».
RICCHI E POVERI. «Dicevano: Mazzone è il Trapattoni dei poveri. E io rispondevo: amici miei, Trapattoni è il Mazzone dei ricchi».
L’ARTISTA E LA SUA TELA. «In Italia ho capito che una conversazione con un allenatore in seconda è più importante e soddisfacente di quella con un filosofo. Chi siede in panchina ha un mondo dietro, magari piccolo e sconosciuto, ma è un mondo, è come se venisse da un posto inesplorato, e parlandogli ti portasse in quel posto, dal quale torni necessariamente arricchito. Gli allenatori italiani trattano il campo come una tela, inquadrano lo spazio e lo dividono, difendono e conquistano sempre con estro. E Mazzone è uno di quelli».
Giovanni Di Pasquale